Di Maio espropria la rete Tim facendola pagare ai cittadini.

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Di Maio espropria la rete Tim facendola pagare ai cittadini.

Ed ecco che nella serata di venerdì 16 arriva l’atteso emendamento targato 5Stelle sulle misure per potenziare gli investimenti in reti a banda ultral

NUOVA TELECOM: RESTA LA RETE, FUORI I SERVIZI
C.d.S. in TIM… A CHI TUTTO E A CHI NIENTE!!
COMUNICATO NAZIONALE

Ed ecco che nella serata di venerdì 16 arriva l’atteso emendamento targato 5Stelle sulle misure per potenziare gli investimenti in reti a banda ultralarga. In pratica sta prendendo forma il piano preannunciato in Tv dal vice premier per risolvere la partita delle tlc italiane. Ma è una partita complessa e bisogna capire alla fine chi ci guadagna e chi ci perde perché per Di Maio e i 5Stelle potrebbe anche trattarsi di un boomerang.

Innanzitutto il contenuto dell’emendamento ha una sapore fortemente dirigistico. Si assegnano più ampi poteri all’autorità di settore, l’AgCom, che in determinate circostanze, neanche tanto difficili da dimostrare, può addirittura obbligare l’operatore verticalmente integrato (così viene indicata Tim senza mai nominarne il nome) a separare la propria rete dal resto dell’azienda in una società indipendente. Le circostanze indicate sono due:

  1. l’inefficacia degli obblighi imposti ai sensi degli articoli 46-50 del Codice (trasparenza, non discriminazione, separazione contabile, accesso, controllo dei prezzi) per conseguire un’effettiva concorrenza; e
  2. l’esistenza di importanti e persistenti problemi di concorrenza oppure di carenze di entrambi. Presupposti individuati in relazione ai mercati per la fornitura all’ingrosso di determinati prodotti di accesso.

In pratica se l’AgCom stabilisce che Tim sfrutta ancora troppo il suo vantaggio competitivo derivante dall’essere l’ex monopolista oppure verifica che la concorrenza tra Tim e Open Fiber nella posa della fibra è inefficiente poiché si crea “un eccesso di offerta di reti non saturabili dalla domanda potenziale”, allora può imporre a Tim di scorporare la sua rete in una società a parte non verticalmente integrata (cioé non controllata dalla casa madre) anche se l’iter dovrà essere concordato con la Commissione Ue. Se non è un esproprio poco ci manca.

Ma la ciliegina sulla torta arriva nella parte finale dell’emendamento. Dove si dice che “qualora il trasferimento dei beni relativi alla rete di accesso appartenenti a diversi operatori sia finalizzato all’aggregazione volontaria dei medesimi beni in capo a un soggetto giuridico non verticalmente integrato e appartenente a una proprietà diversa o sotto controllo di terzi, l’AgCom nell’imporre, modificare o revocare gli obblighi specifici di cui al comma 4 e al fine, dunque, di incentivare detta aggregazione volontaria, determina adeguati meccanismi incentivanti di remunerazione del capitale investito. Tali meccanismi sono determinati anche tenendo conto: (i) del costo storico degli investimenti effettuati in relazione alle reti di accesso trasferite; (ii) della forza lavoro dell’impresa separata (ossia degli impatti dell’operazione di aggregazione in termini occupazionali)”.

Tutto ciò può sintetizzarsi in una sola parola: pagano i cittadini. In pratica se la rete diventa unica, cioé si ritorna a un regime di monopolio, l’attività verrà regolata dall’autorità e questa remunerazione dovrà essere generosa per tener conto che Tim nel separarsi dalla propria rete dovrà far confluire in essa un gran numero di dipendenti e un bel po’ del debito che la affligge da anni. Il meccanismo di remunerazione si chiama Rab (Regulatory asset base) che definisce a priori quale rendimento debba avere il capitale investito nell’infrastruttura. La Rab dovrà tener conto degli investimenti passati effettuati nella rete Tim e quelli futuri necessari a raggiungere gli obbiettivi dell’Agenda digitale europea. Quindi dovrà essere molto generosa (per la distribuzione dell’energia elettrica, per esempio, la Rab è pari al 6,4%) e nel caso della rete tlc ciò significa una cosa sola, aumento dei prezzi per l’accesso all’ingrosso alla rete da parte degli operatori che ribalteranno a valle sui consumatori tali maggiori costi. In sostanza questa nazionalizzazione della rete Tim alla fine verrà pagata dai cittadini italiani che ogni usufruiscono di un accesso per navigare su internet.

Inoltre quanto più alta sarà la Rab concessa dal governo alla nuova rete tlc, tanto più alta sarà la probabilità di mettere d’accordo e allineare gli interessi degli azionisti Tim. Una Rab molto generosa, infatti, permetterebbe di scorporare la rete Tim attraverso una scissione che può far crescere in maniera sostanziale il valore di Borsa derivante dalla somma delle due società risultanti. Un azionista Tim si troverà un giorno con in mano due azioni: una che rappresenterà la NetCo (la società della rete) e una che rappresenterà la ServiceCo. Una Rab alta permetterà infatti di scaricare nella prima società un gran numero di dipendenti e di debito, senza creare troppi esuberi come chiede Di Maio, conservando un valore patrimoniale molto alto e andando a operare sul mercato come una utilities dai dividendi certi e costanti nel tempo. Parallelamente la Tim in cui rimarrà il servizio commerciale di telefonia potrà essere snella e senza debiti andando a competere ad armi pari con Vodafone, Wind-Tre, Iliad sui diversi servizi da offrire ai clienti.

Se sarà così a quel punto converrà anche ai francesi di Vivendi dare il loro assenso all’operazione – ieri l’ad di Vivendi Arnaud de Puyfontaine ha definito una “follia” la separazione totale della rete Tim – poiché in un sol colpo potrebbero recuperare il valore perso in Borsa in questi anni a seguito del loro investimento fallimentare. E il fondo Elliott potrebbe uscirne con un bel guadagno. Insomma con la Rab alta tutti contenti tranne i consumatori italiani che pagherebbero il prezzo della infelice privatizzazione di Telecom effettuata dal governo Prodi nel 1997, presa con il fiato sul collo della necessità per l’Italia di entrare nell’euro.

Il rischio di un’operazione del genere, oltre a quello di penalizzare il potenziale elettorato dei 5Stelle, è quello di finire in una palude per un paio d’anni, nei quali si discute di come fare effettivamente lo scorporo di Tim. L’AgCom che dovrebbe condurre le danze cambierà i suoi uomini nell’estate 2019, e bisognerà vedere se questo governo sarà ancora lì a designare i successori. Open Fiber tirerà i remi in barca nella posa della fibra in attesa di vedere se effettivamente confluirà nella nuova società e gli azionisti di Tim continueranno a combattersi in attesa di capire quali sono le effettive convenienze. Un Vietnam di un paio d’anni in cui tutti ne uscirebbero perdenti.

(Business Insider Italia)